“Produci, consuma, crepa”? Not me!

Alienazione dalla realtà, dissociazione autistica, anestesia generale. Uso del cibo associato ad attività sedentarie come unica forma di rilassamento. Tutto ciò porta conseguenze dannose per capacità di resilienza rispetto a situazioni spiacevoli, e a toglierci dalla dipendenza, che trasforma le situazioni piacevoli in meno piacevoli.

Attività come Yoga e meditazione aiutano l’individuo dipendente a ricentrarsi. Con il protocollo MBSR (Mindfulness e Mindfuleating) si compie un apprendimento che porta alla libertà, e sviluppa la nostra capacità di curarci. Efficace anche creare “routine di valore” quotidiane, mettendo ordine nell’ esecuzione di procedure, nella scansione dei tempi e nell’organizzazione delle giornate, per migliorarci ogni giorno.

Ne parliamo con il prof. Camillo Loriedo, direttore dell’UOC Disturbi del Comportamento Alimentare del Policlinico Umberto I di Roma:

 

Professore, il binge eating disorder può trovare risposta nell’ ipnosi? Qual è l’approccio migliore per convincere un ragazzo che la sua è una dipendenza né più né meno di altre?

“Questa condizione di alimentazione incontrollata può portare altre dipendenze per un motivo molto semplice: non avendo a disposizione completamente il controllo di sé stessi, si può cedere facilmente a qualsiasi tentazione, e le tentazioni possibili sono spesso quelle attività che dànno un piacere, una soddisfazione temporanea ma che comunque dànno un gratificazione immediata, perché lì per lì, non sapendo fare a meno di ciò che mi piace, di ciò che mi attira, cedo e lo faccio con grande facilità senza più pormi dei limiti perché non ho la capacità di farlo. Questa è la condizione del binge eater, cioè una perdita di controllo talmente diffusa che tutto quello che può accompagnare la perdita di controllo potrebbe essere presente fino al punto di perdere ogni speranza di essere padrone di sé stessi, e lì subentra la depressione”.

 

Quanto pesa ai binge eaters l’isolamento sociale?

“Man mano che il tempo passa la perdita di controllo comporta un aumento di peso; ovviamente ingerire cibo senza limiti per una durata molto lunga nell’arco della giornata fa sì che il corpo lieviti, non ci sono condotte di eliminazione, quindi tutto quello che entra esce in maniera molto, molto limitata. Perciò man mano il peso aumenta e si arriva a condizioni anche molto, molto gravi; io ho avuto una paziente che pesava 250 kg e per essere spostata aveva bisogno di 5 persone. Questo significa perdere la mobilità, essere confinati nella propria casa; caratterialmente già è una tendenza che queste persone sviluppano, perché incapaci di controllarsi. Spesso hanno difficoltà nel sociale ad avere rapporti laddove è richiesto che ci sia quel minimo di capacità di rispetto, di interazione con gli altri. Convincerli non è facile perché dopo un po’ di tempo hanno scarsa tendenza ad uscire di casa, frequentano sempre meno persone e – se le frequentano – a distanza, questo spiega anche il ricorso frequente alla ludopatìa, che permette di avere collegamenti a distanza però senza spostarsi. Lo spostamento diventa difficile un po’ per il peso, che ovviamente comporta un certo grado di fatica nel muoversi e comunque subentra una sorta di pigrizia, rinuncia, non voler andare in posti pubblici dove – vedendo una situazione così fisicamente palese – ci si sente osservati e giudicati. Alla fine diventa una scelta che poi non è neanche più scelta, ma un obbligo”.

 

Cosa possono e devono fare i genitori?  

“I genitori dovrebbero avere la capacità di far capire al figlio che la sua perdita di controllo è una perdita che potrebbe essere reversibile con la sua collaborazione. Il punto critico è che sono spesso convinti che non c’è niente da fare, sia i genitori che il figlio: è la cosa più frequente”.

 

Si tende a mentire a sé stessi e agli altri, in questi casi?

“Mentire è un altro modo di non crederci: siccome tanto non servirebbe a niente, tanto vale mentire: dico che ci vado così smettono di tormentarmi e il posso starmene tranquillo. E’ molto difficile che in loro “scatti” la voglia di cambiare: il b.e.d. di solito è l’ultima tappa di un percorso, avendo avuto una storia abbastanza impegnativa, in cui hanno tentato di riprendersi in mano il loro destino ma – non essendoci mai riusciti – arrivano alla conclusione che non c’è niente da fare: mi lascio andare e faccio quel tipo di vita che non è particolarmente esaltante, ma per me è una gratificazione continua grazie al fatto che faccio le cose che mi piacciono e che riempiono la mia vita. Qualcuno dice con convinzione di controllarsi, ma la maggior parte di loro mente per avere una vita meno spiacevole, qui subentra il principio del ‘piacere senza nessuna alternativa’, cioè tutto quello che mi rende la vita difficile, lo evito, lo metto da parte, perché se qualcuno mi chiede, fa domande, basta, lasciatemi in pace tanto non c’è niente da fare e fatemi fare la mia vita”.

 

Cosa smuoverebbe queste personalità disturbate?

“Un po’ di amor proprio, fermarsi a ‘cercarsi’. Ascoltare il vuoto interno facendosi aiutare. Guardandosi da fuori, impietosirsi per quell’ammasso di adipe e prendersi finalmente cura di sé, con tenerezza. Se un riferimento affettivo, un rapporto importante li ponesse di fronte ad un out out, questo migliorerebbe la situazione. Anche lo spavento aiuta: lo spavento può derivare dalle visite mediche quando uno sa che le possibilità di sopravvivenza diminuiscono”.

 

Si è di fronte ad una tossicodipendenza vera e propria?

“La dipendenza tendenzialmente è il bisogno di avere delle sostanze perché ti danno qualche cosa, in questo caso solo la partenza non è questa, ma il risultato alla fine sarà lo stesso: la persona non ha più la capacità di gestire sé stessa, come una macchina senza volante, per capirci. Un mio paziente prendeva pillole stimolanti con il caffè perché non voleva perdere – in qualsiasi tipo di alimentazione – quell’attivazione che a lui dava la sensazione di riprendersi un po’ in mano la situazione. Noi abbiamo i nostri peptidi che sono oppioidi, le endorfine, che fanno parte del nostro stesso organismo e che ogni volta che mangiamo zuccheri – per esempio – si attivano. Con più frequenza gli zuccheri, anche se esistono dei binge eater che usano altre sostanze, ma il risultato è lo stesso. Il più frequente è il craving per i carboidrati, quindi si fa una scelta precisa. Ma non sempre la scelta è così netta, a volte qualunque cosa capiti: quando la fame è molto molto forte, guardare e scegliere, non ha senso. Anzi, diciamo che per fare una distinzione – perché non tutti gli obesi sono binge eaters – diciamo una parte degli obesi sono dei buongustai ‘tra virgolette’, scelgono e si preparano delle cose che a loro piacciono. Il binge eater vero e proprio ha perso il senso del gusto ed è quindi una persona che si alimenta tanto a qualsiasi costo, e sono però a volte cose piacevoli, a volte cose che potrebbero essere aberranti ma, pur di mangiare, mangerebbero qualsiasi cosa (arriverebbero anche – tra virgolette – al cannibalismo, in casi estremi). Una mia paziente che andava a vivere col padre per una settimana – i suoi erano separati –  siccome lui abitava in un posto dove non c’era un frigorifero né un’alimentazione disponibile, ha cominciato a divorare oggetti che stavano dentro casa, come una radio antica che ha cominciato a smontare e a masticare”.

 

L’ipnosi in questi casi fa un lavoro di ‘scavo’?

L’ipnosi ‘riordina’, restituisce il sapore del cibo: mangio tanto perché alla fine non sento più un gran ché: sono ‘assuefatto’ al cibo se vogliamo metterla in termini di dipendenza. Quindi quel cibo non mi ha dato quel senso di piacere che doveva darmi, e allora aumento. L’unica cosa che alla fine mi dà piacere è il senso di pienezza, non ho più bisogno di altro, non ho più neanche bisogno di fare sforzi, sto bene (tra virgolette). Scavare con un’analisi all’origine di questa frustrazione che genera la dipendenza di solito è una scelta che si può fare in situazioni che sono abbastanza recenti, cioè nate da non molto tempo, perché col passare del tempo, dei fatti del passato a queste persone non importa più un gran ché perché c’è l’effetto della sostanza: la mia sofferenza di una volta, il disagio che può essere derivato da esperienze negative, da cattivi rapporti, béh alla fine viene relegato da un’altra parte: quello che conta oggi è riempirmi e non sentire più niente, un anestetico che mi consente di non avere più nessuna cognizione. Con il passare del tempo si perde proprio il collegamento con i fatti reali e con ciò che è avvenuto nel passato. Però quando il paziente poi migliora, incomincia a ridurre l’alimentazione e ad avere di nuovo il controllo, è possibile cercare di fare quel lavoro che dice lei. Ossia un lavoro che riguarda la soluzione di problemi passati non ancora risolti, quindi le mancanze, le carenze, etc”.

 

A chi si accompagna in genere un binge eater, nella sua esperienza clinica?

“Il mangiatore compulsivo non potendo avere il controllo su se stesso, lo spinge sugli altri. Si circonda di persone passive anche perché quelli che sono attivi si fanno la loro vita; i deboli vengono attirati da una situazione di ‘centralizzazione’ che il binge eater crea tutto intorno a lui, e che non riuscirebbe ad instaurare con altre persone. E questo è il rischio che c’è per le persone che sono intorno ad un/una binge eater. Una persona così ti fa capire in maniera molto chiara che non è interessato a gente che ha una propria esistenza, che aspira ad una crescita autonoma e sana… allora tu devi fare una scelta: o stai da questa parte e sottostai a queste regole, oppure no. Gigante buono con tentacoli, apre la sua ala fintamente protettiva, seleziona e sa scegliere, manipola e gestisce perché ha una forza che tende ad andare in una certa direzione: per ottenere quelle cose farebbero qualsiasi cosa, l’interessamento è il soddisfacimento provvisorio”.

 

Cosa consiglia, professore?

“Ci vuole un contesto (comunità) che effettivamente li guida e li può portare a riprendersi, perché il controllo degli altri ti aiuta a riprenderti il tuo: prima gli altri controllano te e poi tu controlli te stesso, e qui la famiglia d’origine può aiutare. In queste condizioni il lavoro di scavo con l’ipnosi non sempre si può fare, perché refrattari o non ne hanno voglia perché sono talmente presi da quello che gli serve subito, il bisogno di ingerire questo e quello e poi del resto non m’importa niente… invece dargli la possibilità di mangiare in una maniera diversa (togliergli il cibo di colpo sarebbe impossibile e inaccettabile per loro) ma ti faccio sentire più sapore, ti dò più soddisfazione, quello che cercano è quella soddisfazione, quindi gliene dài un’altra migliore. Per loro è una scelta vantaggiosa e a quel punto il vantaggio è anche terapeutico, perché invece di mangiare tanto e sentire poco sapore, io mangio di meno ma ne sento di più, quindi la mia soddisfazione c’è lo stesso, e piano piano si comincia a guadagnare del terreno mentre qui invece quello che succede è che ogni giorno un po’ di terreno si perde, lui non lo direbbe mai, ma gli altri se ne accorgono perché aumenti il peso e si vede, aumenti la quantità di cibo e si vede… e molte persone che gli stanno intorno finiscono per accettare questa situazione, per assuefazione”.

 

Cosa rischiano i codipendenti (mogli, mariti, figli, etc)?

“Purtroppo soprattutto dal punto di vista del genere femminile, la codipendenza è quasi sempre l’inizio di una dipendenza, cioè si comincia ‘per compagnia’. Lo faccio per lui, vado per stare accanto a lui e poter condividere la sua esperienza: siccome il linguaggio, il modo di essere e di esistere è centrato solo su questo, alla fine o accetti questo o non hai nessun rapporto. Fondamentale è fare una terapia anche per i codipendenti. Ma qualsiasi terapia, se uno non se la va a cercare, è difficile che venga a cercare te. Bisogna sapere che c’è e ti ridà una vita. Ti dà la possibilità di avere molto di più di quello che hai adesso. Di solito non c’è dall’inizio una volontà suicida, poi siccome si perde ogni speranza, tanto non c’è niente da fare, si va avanti per questa strada perché il coraggio di farla finita non c’è, da una parte, dall’altra si pensa che a un certo punto finirà perché c’è un limite a tutto”.

 

Cosa pensano di sé i binge eaters?

“E’ inaccettabile per queste persone pensare di avere delle capacità, delle competenze che non hanno o non riescono ad esercitare, ma proprio questo è il punto cruciale: non lo farebbero perché pensano di non riuscirci mai, non lo farebbero per i figli, per i genitori, per la fidanzata, per la carriera, non lo farebbero per nessuno… però se tu gli fai capire che questo può servire per ridargli la capacità di gestire se stessi perché la perdita di controllo è molto dolorosa, cioè tu hai a disposizione un corpo e una mente ma è come se non ce l’avessi, ed è terribile. Loro si accettano così come sono perché non hanno alternative: se capiscono che le possono avere, che si possono riprendere se stessi, cioè io posso decidere oggi di fare il videogioco e mangiare a crepapelle, ma domani posso andare in un parco, farmi una passeggiata… questa possibilità oggi sanno di non averla o comunque non gli interessa averla, ma debbono sapere di potersi riprendere tutte queste cose che gli danno un senso di vita, di esperienza vera. Dirgli che hanno la capacità di godersi la vita, che l’hanno solo temporaneamente perduta e che la possono recuperare; e allora insegnargli come recuperarla diventa un mezzo per ottenere la loro collaborazione, creare un’alleanza, questo è l’aggancio che c’è. E’ difficile che accettino per un periodo sufficientemente lungo di avere un atteggiamento esplorativo, anzi preferiscono che non se ne parli neppure. La perdita del mangiatore compulsivo è così totale (più del bulimico) che non permette neanche di fare una scelta in questo senso e selezionare le cose che sono più dolorose da tirar fuori. E sempre più giovani ne sono vittime, bisogna correre ai ripari prima che sia troppo tardi: la chirurgia bariatrica va di moda e la si usa anche quando non serve, i farmaci fanno pochissimo effetto: solo se c’è una depressione sarebbe meglio prenderli, però considerando che gli antidepressivi fanno ingrassare”…

Abbuffate compulsive: 4 suggerimenti

#1: mangia abbastanza durante i pasti. Non mangiare abbastanza “prepara il terreno” per eccedere col cibo. Inizia a pensare che la causa della tua mancanza di costanza non risiede nell’abbuffata in sé, quanto nel digiuno. Mangia con più regolarità durante i pasti per evitare le abbuffate compulsive.

#2: Esplora cosa sta realmente accadendo. Se avverti il desiderio di mangiare prova a chiederti: a cosa mi serve, in questo momento, mangiare?  E’ a causa dello stress, della solitudine, della noia? Individuare il bisogno sotteso può aiutarti a interrompere l’impulso ad abbuffarti e a ricercare modalità alternative per soddisfarlo (fare una passeggiata, leggere un libro, chiamare un amico)

#3: inserisci il piacere nelle tue giornate. Mangiare, lo sappiamo tutti, è uno dei piaceri della vita. Ma se provi a riflettere un attimo, puoi imparare ad inserire altri piaceri nel corso della tua giornata. Presto ti renderai conto che esistono diversi modi per rendere piacevoli le tue giornate.

#4: Sradica le routine pericolose. Tutti noi col passare del tempo ci costruiamo una routine rispetto ai pasti e al modo in cui li consumiamo. Se il problema delle abbuffate risiede anche in questo…prova a stravolgere la tua routine. Ad esempio, se sei abituato a mangiare davanti al pc o alla tv, inizia a prendere l’abitudine di interrompere qualsiasi attività tu stia facendo, per dedicarti a consumare tranquillamente il pasto.

 

Per riuscire a fermare le abbuffate compulsive è necessaria molta pratica. Solo con la costanza, possiamo trasformare questi consigli in sane e spontanee abitudini.

 

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