Il tenero, adorato, saggio padre della Sociologia: Franco Ferrarotti

Grande vecchio, ancora e sempre deliziosamente charmant, mio amatissimo professore all’università e prefatore di uno dei miei libri. Si susseguono nella mente le immagini della nostra frequentazione: abile conversatore dinanzi ad un caffè nel bar nella piazzetta vicino corso Trieste. Le interminabili interviste nel suo studio, con lui – elegantissimo – circondato, sommerso, rassicurato da metri cubi di carta, fra pareti interamente tappezzate da libri e pile di giornali sul biondo parquet.

Franco il ballerino, Franco e la sua immancabile pochette, Franco e la sua fantasia variopinta, Franco e il suo anticonformismo altoborghese, Franco e la sua irriverente serenità, Franco e la sua gioiosa spregiudicatezza, Franco e la sua memoria elefantiaca, Franco senza computer, Franco a Campo de’ Fiori a commemorare Giordano Bruno, Franco e il suo sguardo sornione, Franco e la sua Lectio Magistralis, Franco sorridente in completo di lino bianco, Franco che fa sedere mia figlia di 3 anni al primo banco alle sue lezioni, Franco e le sue battute irresistibili, Franco che passeggia con me a villa Paganini stringendo la sua agenda blu, Franco che mi risponde in tutte le lingue…

Lui e il compianto Armando Catemario (mio professore napoletano di antropologia con l’ indivisibile borsello nero, allievo di Fromm alla Scuola di Francoforte) hanno formato le mie basi culturali, facendomi amare le Scienze Umane. Era un privilegio seguire i corsi di perfezionamento di Franco in Teoria e Analisi Qualitativa della Ricerca Sociale: è lì che ho imparato a raccontare la realtà attraverso storie di vita vissuta. Applicare il suo metodo al giornalismo mi ha portato naturalmente a osservare la realtà in forma ‘partecipante’, come ci ha insegnato lui.

Stamattina mi dice che gli dispiace lasciare questo mondo, e mi intenerisce perchè – da grande qual’è – non teme di mostrare la sua fragilità. Il campanello della porta dello studio suona ripetutamente, ma lui non interrompe il nostro incontro per andare ad aprire. E’ come sempre un padrone di casa squisito: è divertito, attento, felice di vedermi. E – come sempre – tocchiamo i temi più disparati. Dalla morte all’economia, dall’immigrazione alla famiglia, dalla tecnologia all’etica. Nell’ascoltarlo elencare le tre cose importanti per le nuove generazioni mi commuovo. “Vittoria, dobbiamo accettare, – mi dice – questo è il segreto della vita”.

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